Diario di quarantena (8)
“Per l’ingresso è obbligatorio indossare la mascherina” recita il cartello all’entrata dello stabilimento balneare. La spiaggia è piena di bambini che giocano, genitori che prendono il sole, e di tutta la varia umanità che ci si aspetta di trovare, in luglio, su una spiaggia dell’Adriatico. Sulla riva, un vecchio in bermuda si bagna i piedi, la mascherina bianca abbassata sul mento, forse per non fare appannare gli occhiali. Mi guardo intorno: è lui l’unico a portarla.
Dicono che gli ombrelloni sono distanziati: lo erano altrettanto sulle spiagge che frequentavo quando al mare ci andavo con mamma e papà, ma forse qui, fino all’anno scorso, li mettevano uno sopra l’altro.
Mi sto ancora domandando che cacchio ci faccio io in un posto così, quando una buona nuotata mi rimette in pace con il Cosmo, e prima di asciugarmi e tornare a morir dal caldo, mi scatto una foto alla cieca con la camera frontale dello smartphone, perché prima o poi avrò bisogno di ricordarmi che per fortuna esiste l’estate.
Qualche mese fa ho iniziato a raccontare come stavo vivendo quegli strani giorni, quel tempo sospeso in cui tutti quanti ci chiudevamo in casa per paura di una malattia sconosciuta. “Andrà tutto bene” dicevano gli arcobaleni disegnati sui muri. Invece ho dovuto parlare della morte di mio padre e dell’odissea di una famiglia intera di “casi occulti”: ora possiamo considerarci “ufficialmente” guariti, ma non siamo mai stati dichiarati contagiati. Ufficialmente, no.
Era l’11 giugno quando all’ospedale di Legnano ho potuto finalmente farmi frugare il naso con quel tampone che poi è risultato negativo. Il 18 sono tornato a timbrare il cartellino, con tre mesi di lavoro arretrato da gestire. Il 29 abbiamo rivisto (e liquidato) la badante di papà, ancora molto indebolita dalla malattia. Nelle settimane successive i test sono diventati più accessibili, così anche un’altra persona che ci frequentava prima del lockdown ed un altro dei dei miei colleghi del lavoro hanno potuto ottenerli, con il consueto risultato: sierologico positivo, tampone negativo.
Ora nelle mie giornate in spiaggia, sembra che tutto sia tornato come prima, anzi ho già vissuto altre situazioni in cui ci si comportava esattamente come se il coronavirus non esistesse. Magari dopo aver firmato una dichiarazione di assunzione di responsabilità. Ma sono situazioni sicure, all’aria aperta, in una stagione generosa di caldo e di raggi ultravioletti. In stazione, sul Frecciarossa, al supermercato, negli uffici, dal parrucchiere o dal dentista è ancora il regno delle mascherine, dei guanti, delle lastre di plexiglas e dei posti alterni.
Mi mancano molto gli spettacoli musicali che riempivano la mia estate, ma piano piano anche quelli stanno riprendendo, all’aperto, con i posti contati e il pubblico con la mascherina, come già facciamo la domenica in chiesa. I gruppi che seguo sui social annunciano sempre più spesso nuovi eventi, ma sempre lontano, a volte oltre confine in Canton Ticino. Nel nostro Paese l’epidemia è sotto controllo: le cifre dei ricoverati in terapia intensiva e dei decessi giornalieri somigliano alla tabella delle temperature in un bollettino meteorologico invernale. Speriamo che ora tutto vada davvero bene. Per quanto mi riguarda, questa è l’ultima puntata di questa serie di post.